Pantelleria d'inverno (o la ami o la odi), storia di una ragazza al suo primo Passitaly



Ho pensato a molti inizi per questo articolo. Dopo essere tornata a lavoro, per tutta la settimana ho combattuto tra una terribile influenza e il ricordo dei giorni trascorsi a Pantelleria; non è facile tornare alla "normalità" dopo aver aperto la mente in un luogo che lascia che i tuoi pensieri anneghino fissando il mare, in ipnotiche onde dritte. Ma come si fa a raccontare un'isola? Come si fa a trasmettere quello che ti ha dato,  le sensazioni che hai provato: profumi, cieli, volti, che ti hanno fatto sentire come a casa.



Quando sono arrivata a Pantelleria ad accogliermi c'è stata una pioggia scrosciante che non mi aspettavo. Presto avrei scoperto di quanto quella fosse una benedizione per una terra che ha sete e che per produrre i suoi meravigliosi frutti, abbia necessità sacrosanta di quelle gocce d'acqua.
L'occasione del Passitaly - La rassegna dei vini dolci del Mediterraneo - per scoprire quest'Isola è stato uno di quei regali "di lavoro" che non ti aspetti in un mese come Novembre, in cui sei immerso nella tua routine, nella tua vita da trentenne tutta lavoro, palestra e serie tv sul divano. Un regalo perché mi sento un po' figlia di un'Isola, quante volte vi ho parlato delle "mie" Tremiti, nelle isole piccole e difficili trovo spesso la mia dimensione.



Non sapevo molto di Pantelleria quando ci sono arrivata. Avevo letto un articolo dove si parlava delle numerose attrazioni che offre: mare, montagna, lago, cibo, ma non sapevo che di lì a poco ad ognuno di quei piatti avrei dato un nome, un ricordo, una foto, avrei associato una chiacchierata o una battuta scambiata con qualcuno che fino a ieri non conoscevo. Non sapevo che avrei assaggiato l'uva zibibbo direttamente dal grappolo, ma anche secca, che avrei bevuto Passito di Pantelleria a tutte le ore del giorno, camminato tra i vigneti ad alberello, che sarei entrata come una piccola Alice da una porta mignon per accedere ad un giardino pantesco con un meraviglioso albero di limoni all'interno.
Non sapevo che avrei attraversato Pantelleria in lungo e in largo, che avrei piantato con le mie mani un pino lì dove un incendio doloso sulla Montagna Grande ha portato via 700 ettari di bosco. Non sapevo che avrei assaggiato il mosto del passito, del moscato, direttamente dalle vasche, che sarei andata nella più piccola azienda vinicola di Pantelleria per assaggiare persino un "esperimento", ovvero uno spumante che sa di mare.





Quante cose non sapevo prima di andare a Pantelleria. Sul mare, sul cibo, sul vino, sul passito, ma soprattutto sulle capacità dell'uomo e della natura e di quello che possono fare insieme, senza farsi del male, ma rispettandosi.
Avrei saputo ancora meno se non avessi avuto la possibilità di andare avanti con la mia esperienza pantesca, nutrendomi delle pagine di un libro prezioso.
Pantelleria - L'Ultima isola di Giosué Calaciura. Un libro piccolo ma che sa raccontarti Pantelleria come un romanzo, non come una guida.

Pantelleria è bellezza. Esuberante di venti, di mare, di odori. Di vulcano. La sua natura estrema, nei millenni, ha costretto a trovare soluzioni, a contendere, pietra dopo pietra, terra alla lava, a opporre intelligenza alla ferocia dello scirocco e del maestrale. Isola di approdi perenni: è stata fenicia, romana, bizantina, araba, normanna, spagnola. Pantelleria è un confine non solo geografico, è una frontiera che accoglie, è un luogo che ci ricorda quanto sia fragile e al tempo stesso eccezionale la condizione umana.




Queste parole mi hanno preso per mano e accompagnata durante la mia esperienza a Pantelleria per Passitaly. Quattro giorni lontana dal Continente, tra le braccia dell'isola al quadrato, l'isola nell'isola, la perla nera del Mediterraneo che poi, a guardarla bene è più un giardino a picco sul mare.
Mare ostile, mare di conquista, mare a cui si da le spalle per guardare la montagna. Mare dei bagni all'arco dell'elefante, con il nero dell'ossidiana che si scalda sotto il sole cocente d'agosto e brucia i turisti pallidi che vengono dal Nord Europa.


 


Ma ora siamo a Novembre, non ci sono turisti, la terra è verde e gialla, le strade sono deserte, c'è qualcuno che sistema la vigna e chi si siede in Paese sul muretto del tabacchino. Che vita surreale per i panteschi essere qui lontani da tutto e noi, che siamo qui a scorrazzare su furgoncini bianchi con smartphone pronti a catturare scorci, a cercare di non perdere nulla, a riempirci gli occhi, la bocca e lo stomaco del meglio di quest'isola, cosa le lasceremo?





Pantelleria d'Inverno ha un fascino che non è banale, non è una bella ragazza che vorresti al tuo fianco il tempo di un'estate, ma una donna che non ti dirà mai abbastanza di se stessa quando tu vorresti sapere tutto, vorresti farla tua. Lei si lascia guardare, ma mai dominare, devi essere tu ad assecondare i suoi capricci, i suoi umori, i suoi desideri.


Quando Neil Armstrong sbarcò sulla superficie lunare l’annunciatore televisivo esclamò emozionato:"Per la prima volta nella storia, l'uomo ha messo piede sulla luna”.
Stavamo passando l’estate nell’isola di Pantelleria,
all’estremo sud della Sicilia, e non credo che esista
al mondo un luogo più consono per pensare alla Luna.
Ricordo come in un sogno le pianure interminabili di
roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta a
calce fin negli scalini, dalle cui finestre si vedevano
nella notte senza vento i fasci luminosi dei fari
dell’Africa. Esplorando i fondali addormentati intorno
all’isola … avevamo recuperato un’anfora con ghirlande
pietrificate che dentro aveva ancora i residui di un
vino immemore corroso dagli anni, e avevamo fatto il
bagno in una gora fumante le cui acque erano così
dense che si poteva quasi camminarci sopra. Io pensavo
con una certa nostalgia premonitrice che così doveva
essere la Luna. Ma lo sbarco di Armstrong aumentò il mio
Orgoglio patriottico. Pantelleria era meglio….

Gabriel Garcia Marquez
(Taccuino di cinque anni)







Pantelleria è viticoltura eroica e viti ad alberello, alberi di ulivi che crescono come cespugli per ripararsi dal vento, è uva passa, è liquori dolci che ti scaldano, è vino fermo che ti strappa sorrisi e brindisi durante le cene a base di piatti tipici, come la Ciaki Ciuka.
È olio che sa di terra, fichi, mare, sole. È capperi che si affacciano sugli strapiombi. È un habitat naturale fatto di polvere di lava e pietra pomice. È un'isola che si può conoscere percorrendo le cantine che ne hanno fatto la storia, alcune con vigneti secolari, che hanno reso i vini che producono molto più che semplici vini. Ci vuole un grande amore e una spropositata passione per continuare a fare gli agricoltori a Pantelleria e a produrre Passito, descritto dall'enologo Giacomo Tachis come "Vino di fatica, intelligenza, passione, cultura tecnica e storica".







Le cantine che abbiamo visitato


Dove dormire  a Pantelleria

Dove mangiare a Pantelleria


Leggi anche: La vendemmia delle donne a Tenute Rubino


Questo "viaggio di lavoro" non sarebbe stato lo stesso senza aver avuto accanto ancora una volta persone fantastiche, che sanno apprezzare il bello e il buono e poi condiverlo a parole o ad immagini, grandi professionisti con cui posso essere fiera di aver condiviso la magia di Pantelleria d'Inverno.

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